mercoledì 14 marzo 2007

Per un recupero di un discorso sul metodo di Luca Galli

ha detto...

Tempo fa, durante una conversazione, ci siamo chiesti come si potesse immaginare un corso di metodologia del progetto. Gli allievi dei corsi di media avevano e hanno già molte possibilità di formazione sui metodi specifici delle discipline e delle pratiche che compongono questo universo, dalla regia all'animazione, dal sound design alla grafica.
Quando si presenta però l'occasione per riflettere su cosa sono il metodo o il progetto in generale?

La domanda potrebbe apparire oziosa, come tante altre che si ritrovano nella tradizione delle filosofia. Eppure è a interrogativi come questi a cui è tornata la comunità stessa del design nell'ambito degli studi che vanno sotto il titolo di "design research", o in modo più specifico sotto quelli di epistemologia o teoria del progetto. Questa discussione ha incrociato o si è sovrapposta con quelle nate dal contesto dell'interaction design, del design industriale, dell'architettura, del design dei sistemi, ma anche delle scienza delle organizzazioni e del management.
Alcuni di questi territori potrebbero sembrare lontani da quelli dei media, o magari dagli altri che sono tipici di una scuola di design e arti visive. Tuttavia, se si assume la prospettiva delle industrie creative nel loro insieme, e di questo ambiente come quello in cui si muoveranno i professionisti oggi in formazione, le cose appaiono in modo diverso.
"Pensare il progetto", o in termini più prosaici, discutere e riflettere sulla natura e la forma del metodo e del progetto, diventa allora importante. Da un lato si tratta di comprendere il metodo e il processo del design in modo da impadronirsi con maggior presa dei singoli metodi e dei contesti pratici nei quali si applicano. In questo senso si è alla ricerca di una maggiore capacità d'agire. D'altro canto si tratta di stimolare la consapevolezza del proprio ruolo e della propria identità professionale (o sociale) nel dialogo o nello scontro con gli altri - committenti, collaboratori, capi, critici, pubblico.

Da questo punto di vista crediamo sia utile anche guardare alla storia del progetto come pratica e come disciplina, con uno sguardo il più possibile ampio, radicale e aperto.
I modi per farlo sono certamente molti. Quello che abbiamo sperimentato, e cerchiamo di continuare a sviluppare, è largamente in debito con l'opera di John Chris Jones. Il suo "Design Methods" (uscito in prima edizione nel 1970 e poi ripubblicato e tradotto - ma mai in italiano - in varie edizioni nei successivi vent'anni) combina una rassegna di metodi con una lettura seminale dell'evoluzione del progetto dal mondo degli oggetti a quello dei sistemi, tratteggiando le linee di quello che studiosi più recenti hanno riconosciuto come una vera e propria "filosofia del design" (per citare il titolo di un altro saggio, in questo caso di Vilém Flusser, disponibile in italiano).
Di più, il porre domande sulla natura del design che è così tipico di Jones, anche nelle forme originali del dialogo e della rappresentazione, ci ha dato il destro nel ripercorrere queste stesse domande sulle tracce talvolta molto remote della filosofia. Rileggere Cartesio e il suo "Discorso sul Metodo" diventa così una premessa quasi essenziale - non foss'altro per cogliere sotto una luce diversa la critica novecentesca alle metodologie scientifiche e magari l'idea stessa che il design possa procedere attraverso metodi razioanali o scientifici (o debba farlo in modo esclusivo).
Lo stesso potrebbe dirsi per altri ambiti come quello della complessità (a cui la Triennale di Milano ha da poco dedicato un workshop).

In definitiva, si tratta di discutere e mettere in opera alcune idee fondamentali sul progetto come forma organizzata del lavoro creativo, in particolare rispetto ad ambienti e contesti orientati alla produzione.
Queste idee o elementi costitutivi comprendono per la natura collaborativa del progetto, il carattere sistemico dei suoi oggetti (appartenenti a dimensioni eterogenee ma interconnesse: fisiche, simboliche, sociali e così via), l’importanza e la fisionomia dei metodi e delle metodologie che danno struttura all’attività, ma anche aspetti più problematici e aperti come quelli relativi alla sfera dei valori etico-estetici.

I risultati che abbiamo raccolto incoraggiano ad andare avanti. Certamente per la didattica, ma in parte pure per ragioni culturali: un corso su come "pensare il progetto" finisce per collocarsi in una discussione viva e dagli esiti non scontati.

Luca Galli, prof. di Filosofia del progetto Scuola di Media Design NABA

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